Di notte, da ragazzi, ci piaceva andare a pescare.
Andavamo di notte. Prendevamo l’attrezzatura e immersi in tutto quell’entusiasmo che solo certi speciali momenti della vita ti regalano, ce ne andavamo in mezzo agli scogli. Forse era merito dell’oscurità lieve della notte, tra tutti i puntini luminosi delle stelle, o forse era il brivido sottile di un silenzio colmo della vitalità del mare che rivestiva quel momento di una sacralità quasi rituale.
Imparavamo tanto dell’acqua e di noi stessi. Così nell’osservare il mare, ho finito per collezionare immagini e resoconti di pesca che si intrecciano tra i piatti e raccontano istanti di quelle notti passate a pescare.
Indimenticabile per me fu l’esperienza della pesca del calamaro. Oggi la racconto con strati di colore, come la tela di un pittore o il disegno di un bambino che unisce le sfumature per rendere viva un’idea. La base di macco di fave è la spinta prima verso il contesto, l’ambiente del fondale marino sabbioso. Poi la crema di pistacchio e asparagi racconta la salinità dello scoglio, mentre lo strato di crema al nero di calamaro è l’evocazione dell’esperienza stessa della pesca e del mistero naturale dell’emotività di questo mollusco colto nella sua massima vulnerabilità.
Una complessità che omaggia l’ecosistema marino, tra fascino e spontaneità.